Università, finanziaria, pensieri e manifestazioni

25 10 2008

In seguito a questo mio articolo e a questo post di Davu, si è acceso all’interno del blog un dibattito (sfociato anche in un più banale litigio in alcuni casi) sulla “riforma” del sistema dell’università italiana.

In realtà, non si tratta di una riforma, ma soltanto di un paio di articoli della finanziaria (legge 133/2008) che in sostanza decreta un pesante taglio di fondi al sistema universitario (si parla (link) di quasi quattro miliardi in cinque anni), e la possibilità, per le università singole, di diventare fondazioni private.

Alcuni giustificano questa operazione con la necessità di lottare contro le inefficienze dell’attuale sistema universtario. Personalmente non nego esistano sprechi e inefficienze nell’attuale sistema, ma quando hai una pianta con dei rami secchi, tagli i rami secchi, non smetti di dare acqua alla pianta.

Un taglio di queste proporzioni al sistema università, per forza di cose, può portare o ad una riduzione dei servizi offerti, o ad un aumento delle tasse di iscrizione, oppure alla “privatizzazione” (nel senso che l’università dipenderà fortemente dai finanziamenti di privati) dei singoli istituti.

Una riduzione dei servizi offerti, quindi una riduzione della qualità della didattica o della ricerca, non è pensabile: la nostra università è già accusata di sfornare ignoranti (leggi di nuovo qui), quindi non credo sia sostenibile un ulteriore peggioramento.

Un aumento delle tasse di iscrizione, già abbastanza alte, va’ contro il principio della parità di diritto allo studio per tutti. Già in questo momento non tutti possono permettersi di frequentare un corso di laurea. Un aumento delle tasse separerebbe ancora di più quanti possono da quanti non possono. Personalmente, credo che ogni cittadino debba avere le stesse possibilità di istruirsi e formarsi, qualunque sia la regione di provenienza e qualunque sia la sua ricchezza.

Una università che dipende dai fondi privati è una università meno libera. La ricerca sarà per forza di cose condizionata dall’esistenza o meno di uno sponsor. Il risultato è quello di una diminuzione della ricerca di “base” a favore di una ricerca applicativa. In alcuni campi non di interesse industriale (storia e letteratura) non mi sembra inverosimili che si possa smettere di fare ricerca. Attualmente la grandissma parte di ricerca di base è fatta dalle università.

Questo è lo scenario che mi sono figurato leggendo il testo della legge, diversi quotidiani (dal “corriere della sera” a “il giornale”) e parlando con amici e conoscenti (di indistinta provenienza politica). Questo scenario non mi piace, per questo manifesterò.

Il mio pensiero è molto fluido…. in questi giorni continuerò ad informarmi, e sarò anche disponibile a cambiare opinione, se qualcuno mi farà notare vantaggi che attualmente non vedo. Invito voi lettori di questo blog a smontare pacificamente le mie tesi punto per punto, o a mostrarmi altri punti di vista che non ho valutato. O ad appoggiare le mie tesi e dire la vostra, se pare il caso.

Sui modi che si hanno per manifestare… ed anche per rispondere al precedente articolo di Davu: io non credo che il blocco delle attività didattiche, od anche una occupazione, sia l’unico modo di manifestare dissenso, e nemmeno il migliore. Abbiamo negli ultimi anni abusato di questo strumento nelle scuole superiori, e dopo aver gridato continuamente “al lupo! al lupo!”,  ora che il lupo è arrivato davvero, le nostre grida rimarranno inascoltate, e passeremo nuovamente per quelli che non vogliono fare nulla, non vogliono studiare, o (nel caso di ricercatori e professori) non vogliono lavorare.

Bisogna trovare altri modi per protestare, senza bloccare le lezioni. Esistono le manifestazioni, le lezioni all’aperto, il volantinaggio. Bisogna informare delle nostre opinioni chi non ne sa niente, o chi non se ne preoccupa. Non è tempo per “battaglie campali”, ma magari si può fare una “guerriglia” bianca, con molte piccole manifestazioni sparse in tutto il territorio, piuttosto che con un unico maestoso evento di interesse. Non una piazza con diecimila studenti, ma dieci piazze con mille. O anche più piazze con ancora meno studenti. Od un martellamento costante sui mezzi pubblici. Tutte attività che devono prendere il nostro tempo libero: è quello che dobbiamo sacrificare alla lotta. Sabato sera, tutti a manifestare, non in discoteca a ballare.

Ultima cosa: trattandosi di questioni che accendono facilmente gli animi, vi prego di evitare, se possibile, gli attacchi diretti alla persona che scrive un commento. Attaccate le sue tesi e i suoi pensieri, ma gli epiteti gratuiti, gli insulti e le offese alle persone non mi sono particolarmente graditi, oltre a non dare nessun contributo interessante alla discussione… (Comunista! Fascista! Mangiabambini! Razzista! Ignorante! Brutto! Tu di più! Tanto non ti sento, lallalalalla!)

Andrea